Ilaria Mavilla e il suo primo romanzo: Miradar, su un hotel a luci rosse

ilaria mavillaCorriere Fiorentino, 3 luglio 2012

Un hotel a luci rosse, dove nell’oscurità del night annesso si aggirano ballerine di lap dance, camionisti e prostitute. Benvenuti al Miradar, il fantomatico albergo di Campi di Bisenzio che dà il titolo al primo romanzo di Ilaria Mavilla. Trentadue anni, fiorentina con origini siciliane e tunisine, ha vinto il concorso letterario «ilmioesordio», fra i circa 2600 concorrenti, aggiudicandosi la pubblicazione del suo libro. Dal 12 settembre il suo Miradar sarà disponibile nelle librerie italiane, edito da Feltrinelli. «Nel gergo del tango — spiega Mavilla, che come ballerina ha girato mezzo mondo e ora insegna tip tap — la mirada è lo sguardo con cui l’uomo sceglie la propria compagna. Lei risponde con un cenno della testa e i due iniziano a danzare. Il tango è un ballo della marginalità, nato nei bassifondi di Buenos Aires, inizialmente mal visto. Per me questo è fondamentale: ho cercato di raccontare le vite dei diseredati, di chi cerca disperatamente di entrare a far parte del mondo reale, sentendosene sempre escluso».

I suoi personaggi sono dei perdenti, spesso in bilico fra la vita e la morte, che quando arriva è sempre violenta. «È come una giungla in cui vince sempre il più forte, c’è una lotta per la sopravvivenza, un senso di spietatezza. I protagonisti vivono come incastrati al Miradar, che è un non-luogo. Come scrivo nel testo: ‘‘solo chi aveva la macchina in panne o voleva andare a puttane si fermava’’». E per trovare un rifugio, questi personaggi ricorrono a Internet. Iscrivendosi a siti di incontri, cercando un lavoro migliore, o sognando una fuga in Brasile. «Internet altera la nostra percezione della solitudine, siamo onnipresenti ma allo stesso tempo assenti, e così ci nascondiamo, per sentirci meno soli».

Per dar vita a queste storie Mavilla intreccia nell’arco di ventiquattr’ore cinque voci di un’umanità dolente, disperata, usando cinque monologhi. Ogni capitolo porta il nome di un personaggio ed è narrato in prima persona, dal suo punto di vista. Ecco allora una struttura polifonica: sfogliando le pagine la storia procede e intanto si scoprono altri dettagli di quel che già sapevamo. «Mi piacciono molto film come Crash o Babel — continua l’autrice, che insegna sceneggiatura cinematografica alla scuola Anna Magnani di Prato — opere in cui si intrecciano le vicende di tanti personaggi, magari distanti l’uno dall’altro, ma che si influenzano reciprocamente. Si crea come un senso di ineluttabilità del destino». È nata così la composizione dell’opera, che all’inizio doveva essere un racconto: «Avevo scritto il primo capitolo, e pensavo che fosse qualcosa di concluso, poi ho creato gli altri personaggi e ho capito che c’era molto di più da raccontare. Ho provato così a scrivere diversi racconti, e solo dopo li ho riuniti in un romanzo».

Per creare il suo mondo, Ilaria Mavilla ha guardato a luoghi che conosce e ripensato ai personaggi che ha incontrato. «Facevo la ballerina nella compagnia della coreografa americana Sheree Lynn, si univa il country con il can can. Mi sono divertita, siamo stati in tournée anche in Francia e negli Stati Uniti. Mi ci sono pagata l’università. Per Miradar mi sono un po’ ispirata ai posti che ho visto. Esistono per davvero, mi è capitato di lavorarci, anche se noi facevamo musical, intrattenimento, niente di erotico!». E per non sbagliare, ha voluto ambientare la storia a pochi passi da Poggio a Caiano, dove vive. «In via dei Confini c’è veramente un dancing club, ho pensato a quel posto perché ce l’ho in testa, fa parte dei luoghi che frequento. Non ho mai vissuto in centro, sempre in zone periferiche. Non potrei mai scrivere della vita di un quartiere di Firenze, non la conosco».

La passione della scrittura è nata da lontano. Prima con qualche corso di sceneggiatura, poi con l’approccio quasi casuale al teatro («dovevamo fare un cortometraggio, ma non c’erano i soldi»), e poi finalmente la vittoria del prestigioso Premio Flaiano, nel 2007. «Presentai un testo sulla detenzione femminile, Chiedi allo specchio, che purtroppo non è mai stato rappresentato. Alla premiazione mi trovai in mezzo al gotha dello spettacolo italiano: Gabriele Lavia, Stefania Sandrelli, Christian De Sica… Da quel momento ho iniziato a prendermi più sul serio come scrittrice». Da lì è nato un fermento che l’ha portata a vincere premi in Italia e all’estero, e a vedere rappresentate alcune sue opere teatrali. Il teatro delle Donne di Calenzano sta producendo il suo Senza Gioia, e intanto lei già pensa al secondo romanzo. «Vorrei continuare a indagare la solitudine metropolitana — dice — riflettere sui temi dell’abbandono, ambientandoli magari nelle case popolari della periferia, in quelle stesse zone dove sorge il mio Miradar».

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