Peter Brook in Toscana, parla Marie Hélène Estienne

Corriere Fiorentino, 14 febbraio 2013

Se in queste ultime settimane di rappresentazioni a New York, il nuovo spettacolo di Peter Brook ha avuto delle «reazioni incredibili», è perché «parlando di apartheid sa essere universale», spiega Marie-Hélène Estienne.

Storica collaboratrice del regista più noto del pianeta, Estienne firma per la prima volta anche la regia, insieme al suo mentore e al responsabile musicale, Franck Krawczyk. Lo spettacolo si intitola The Suit (l’abito) e dopo il debutto nella Grande Mela e l’altra sera a Roma, è in arrivo al Funaro di Pistoia il 22 e il 23 febbraio. «Gli spettatori di New York si sono identificati con questo racconto, e si sono sentiti in colpa», continua l’artista. Lo spettacolo si ispira infatti al romanzo del 1950 dello scrittore Can Themba, la cui pubblicazione fu proibita per l’apartheid. È ambientato nella città di Sophiatown e racconta dell’avvocato Philomen e della moglie Matilda da lui colta in flagrante durante un adulterio. Un abito, dimenticato dall’amante in fuga, diviene simbolo del tradimento e della pena che la donna dovrà scontare. Philomen, infatti, costringe Matilda a conservare il vestito come un ospite d’onore, perfino a servirlo, intrattenerlo, riverirlo, a eterno ricordo del suo tradimento. Anni fa Brook ne aveva già proposto una versione scenica col suo fortunato Le Costume e adesso arriva questo nuovo adattamento, in inglese, arricchito dalle musiche dal vivo che spaziano da Schubert a Mirian Makeba. «Proponiamo sempre due versioni dei nostri spettacoli, in francese e in inglese. Questa volta abbiamo aggiunto anche la parte musicale, e ci siamo accorti che col passare degli anni il tema narrato è percepito con più forza. La povertà del mondo purtroppo è peggiorata e il tema dell’apartheid diventa universale».

Il miracolo è stato possibile grazie all’incontro con Krawczyk. «Eravamo sempre in sintonia, senza mai avere frizioni. È stata una magia che è avvenuta per il Flauto Magico di Mozart» (a Pontedera ad aprile). Il rapporto di Brook con la lirica iniziò a Londra, quando da giovanissimo era il direttore delle produzioni del Covent Garden e negli anni Ottanta decise per la prima volta di riscrivere un’opera, la Carmen. Il successo fu grande, dovuto anche al compositore Marius Constant. «Ma dopo la sua morte — continua Estienne — non era facile tornare a lavorare in quella direzione. Che per altro non si era più ripetuta, poiché nelle altre opere proposte dal nostro gruppo si erano fatti piccoli adattamenti (per Pelléas et Mélisande) o si era proposta la versione originale (per Don Giovanni). Ora invece si torna a lavorare con quel metodo, sostituendo l’orchestra con un pianoforte».

Ma per Marie-Hélène Estienne, fu quella Tragédie de Carmen del 1981, una tappa fondamentale: «Peter era convinto che sarebbe stato impossibile trovare dei cantanti per quella nuova versione dell’opera, ovviamente alla fine ci riuscimmo e fui io ad occuparmi del casting». Poi pian piano il suo ruolo è cresciuto. «All’inizio facevo un po’ di tutto: seguivo i casting, andando a cercare per tutto il mondo gli attori e imparavo molto guardando e ascoltando gli altri. Fu grazie allo scrittore Jean-Claude Carrière che iniziai a dedicarmi alla scrittura, affiancandolo nella stesura del testo de L’Homme qui».

Era quella la sua aspirazione, quando per la prima volta Marie-Hélène Estienne si presentò a Brook, negli anni Settanta: «Mi occupavo di critica teatrale ma dopo un anno stavo già iniziando ad annoiarmi, così decisi di provare a passare dall’altra parte, lavorando dall’interno. Peter mi disse di sì, e così iniziò questo mio splendido viaggio nella sua compagnia».

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