«Quei lunedì da leoni, senza scuola e con papà». Intervista a Lucia Lavia

Mercoledì 17 Agosto 2016, Corriere Fiorentino

«Ci sono due cose che Gabriele Lavia sa fare straordinariamente bene: l’attore e il padre». A soli 24 anni, Lucia Lavia ha già lavorato con registi come Luca Ronconi, Nanni Garella e Federico Tiezzi, che l’estate scorsa le ha affidato il ruolo di Ifigenia al teatro Greco di Siracusa. Ma il suo punto di riferimento, nella vita e nel teatro, resta suo padre, il celebre attore e regista che da due anni è anche Consulente Artistico del teatro della Toscana. «Ha un rigore assoluto, ti insegna il rispetto verso questo mestiere e ti aiuta a prenderlo come una ragione di vita. Con lui ho un rapporto speciale, siamo molto uniti». Eppure non è sempre stato facile.

Lucia Lavia, lei è cresciuta respirando teatro, con suo padre e con sua madre Monica Guerritore. Un mondo bellissimo ma anche difficile per chi ha famiglia: gli attori sono costantemente in tournée…

«Penso che i figli dei teatranti non siano mai felici, perché i bambini hanno bisogno di avere i genitori vicino. Da piccola soffrivo molto per questo, anche se loro sono stati molto affettuosi, presenti nella distanza. Ci chiamavano sempre, ci seguivano da lontano, e tornavano ogni lunedì. Noi stavamo a casa, avevamo le tate, e sporadicamente li raggiungevamo in tournée. D’altra parte sarebbe impossibile per un attore spostarsi con i figli: i ritmi dei piccoli non sono compatibili con quelli del teatro. Ora che anche io sono sempre in giro per lavoro, prima di fare una famiglia, due domande me le farei. Non è facile essere figli di chi lavora sempre lontano».

E quando tornavano a casa stavate molto insieme?

«Era una festa. Ci dimenticavamo delle lunghe assenze. Mio padre ci raccontava le fiabe, ci cantava canzoni scritte da lui, ci portava al parco. Stavamo sempre insieme, il lunedì era tutto incentrato su di noi e spesso non andavo neanche a scuola per stare in famiglia».

Qual è stato il momento in cui ha deciso che avrebbe fatto anche lei il loro mestiere?

«Avevo otto anni, stavo vedendo uno spettacolo dietro le quinte. Mio padre mi teneva sempre lì, credo di non essere mai stata in platea quando ero bambina. Alla fine lui mi viene a salutare e io gli dico: “Papà il teatro è la mia vita”. Poi, più avanti, quando avevo undici anni, sono rimasta folgorata dal suo Avaro . Vedevo tutte queste persone che prima erano normali ma poi in scena diventavano personaggi».

Ha iniziato a lavorare con suo padre quasi per caso, con Il malato immaginario …

«Un caso. Mio padre stava facendo dei provini per il ruolo di Angelica, io mi stavo preparando per l’audizione all’Accademia d’Arte Drammatica. Un giorno lo raggiunsi in teatro per fargli vedere il monologo su cui stavo lavorando. C’erano due ragazze che facevano il provino, quando finirono mio padre mi chiese se mi ricordassi le battute di Molière. Io le sapevo, e mi fece lavorare su quelle. Alla fine mi dice: “va bene, basta così”. E io pensavo che mi suggerisse di portare quel pezzo all’audizione, ma lui mi dice: “no, farai lo spettacolo con me”. Per me è stata una grande opportunità, all’Accademia non sono andata, ma otto mesi di tournée con uno spettacolo così sono stati una grandissima scuola. Poi ho iniziato a lavorare, e ora le cose vanno bene. Sono riuscita a trovare una mia strada indipendente, al fianco di vari registi. Così, se si decide di lavorare in famiglia è perché c’è proprio la voglia di fare qualcosa insieme».

Le prove del Malato immaginario — come spesso per gli spettacoli di Lavia, che adesso sta allestendo L’uomo dal fiore in bocca —si svolgevano alla Pergola. Che rapporto ha con Firenze?

«La amo molto, ci sono troppi turisti ma ci sto sempre bene. Ci ho anche studiato, alle medie, sono stata due anni al collegio del Poggio Imperiale. Fu divertentissimo. E alla Pergola ho mosso i primi passi sul palco: è diventata la mia culla. Per me è forse il più bel teatro d’Italia».

Con suo padre siete stati a lungo in tournée insieme. Com’è andata?

«Benissimo! Quando viaggiamo con uno spettacolo stiamo sempre insieme, tutto il giorno. Mangiamo insieme a pranzo e a cena. Con lui mi diverto, mi fa sempre ridere».

Ora che ha lavorato con molti artisti, che cosa apprezza maggiormente di lui, come regista?

«Il suo modo di dirigere è unico. Ha una precisione straordinaria, cura nei minimi dettagli il disegno scenico. Nei suoi spettacoli non c’è mai niente fuori posto».

E fuori dal palco?

«È un padre fantastico, sa essere giocoso e affettuoso».

Con sua mamma che rapporto ha?

«Siamo molto unite, lei mi aiuta, mi sostiene…».

Ha già interpretato tre ruoli che aveva avuto lei: Angelica nel Malato immaginario , la Figliastra nei Sei Personaggi , e quest’anno Emma Bovary, nel nuovo spettacolo diretto da Andrea Baracco…

«È normale: i ruoli importanti sono quelli, prima o poi uno ci si confronta! Ma quando non lavoro con i miei genitori cerco di non farmi consigliare da loro sennò si fa confusione: bisogna ascoltare solo il regista. Mia madre mi sta molto vicino. Mi dà dei consigli da un punto di vista emotivo ma sul lavoro non mi dice cosa fare. Però mi segue e viene spesso alle prove».

A febbraio torna alla Pergola nei panni di Giulietta con la regia di Baracco, al fianco di attori come Alessandro Preziosi e Antonio Folletto…

«È un personaggio difficilissimo, ho faticato tanto. Durante le prove ho avuto una crisi perché quelle piccole cose che sentivo di avere imparato improvvisamente si sono smontate, non mi sentivo in grado di fare niente. Mio padre mi ha detto: “questo è un momento di grande crescita per te, perché quando senti di non poter più fare niente, vuol dire che stai scoprendo nuove cose”. Anche lui veniva spesso alle prove, stava con me e salutava tutti, mi faceva molto piacere. Sono venuti spesso anche i miei fratelli: Lorenzo fa l’attore, e Maria ha aperto una sua agenzia di casting. Abbiamo seguito tutti le orme di mamma e papà».

Gherardo Vitali Rosati

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