Giovedì 25 Agosto 2016, Corriere Fiorentino
«Mia madre ha un carattere straordinario: riesce sempre a vedere il bicchiere mezzo pieno, ha una voglia di vivere pazzesca. Se non fosse mia madre, sarebbe perfetta!». C’è un’ammirazione sincera nelle parole di Amanda Sandrelli quando parla dei suoi genitori. Ha vissuto soprattutto con la mamma, Stefania Sandrelli, che le ha insegnato «la leggerezza, il senso dell’umorismo, a non prendermi troppo sul serio», anche se sente di avere il carattere di suo padre, Gino Paoli: «una persona più complicata, che rischia a volte di arrovellarsi e di farsi male da solo, come faccio anche io. Però poi è da qui che nasce la profondità del suo lavoro».
Lei ha vissuto soprattutto a Roma, ma la sua storia nasce in Toscana…
«Mia madre è di Viareggio, i suoi genitori di Pistoia e di Firenze, e poi mio nonno paterno era di Piombino, quindi ho tre quarti degli avi toscani, e ho avuto anche un tato di San Giovanni Valdarno, che aveva cresciuto anche mia mamma. Il mio imprinting è toscano, e in vacanza vado spesso a Campiglia Marittima, in una bella casa di mio padre».
Come percepiva da piccola il lavoro dei suoi genitori?
«Ho sempre capito che era una cosa fondamentale per entrambi, che non lo facevano per guadagnare o per avere successo, ma era un bisogno: il palco per mio babbo e il set per mia mamma. Anch’io sentivo l’energia del palco, mentre il set mi sembrava noioso. L’ho capito dopo, il suo fascino, quando mi sono trovata anch’io dietro una macchina da presa. Ma se oggi faccio teatro è perché quello che mi piace è il palcoscenico».
Perché alla fine ha scelto la recitazione?
«Pensavo di fare la psicanalista, poi quando uscii dal liceo mi presero per Non ci resta che piangere , era divertente ma pensavo che poi avrei fatto altro. Il momento in cui ho scelto questo mestiere è stato in seguito, con il teatro, e adesso non posso pensare la mia vita senza il mio lavoro».
Sua madre ha lavorato con artisti straordinari. Quando era piccola li incontrava? Si ricorda qualcuno di loro?
«Mi colpì moltissimo Pasolini. Lo incontrai sul set di Novecento , avevo dodici anni e non sapevo chi fosse. Io avevo delle croste sulle ginocchia, lui mi guardò e mi chiese “Che hai fatto? È per il troppo pregar sul pavimento?”. Io risposi che ero solo caduta dalla bicicletta e lui si mise a ridere. Poi ci ho ripensato, leggendo e amando molto Pasolini, perché a volte ci sono delle sensazioni che non ti spieghi ma che lasciano il segno. Ricordo ancora la sua voce, e quelle parole, che poi ho scoperto essere una citazione da una poesia [Pascoli, nell’Aquilone, ricorda così il suo amico scomparso: “Tu eri tutto bianco, io mi rammento/Solo avevi del rosso sui ginocchi/ Per quel nostro pregar sul pavimento” n.d.r.]. Sullo stesso set mi ricordo anche Donald Sutherland, che mi fece paura: era altissimo, andava in giro con un mantellone e un cappello. Lo incontrai nella hall dell’albergo e mi rincantucciai accanto a mia madre perché mi sembrava un mago o uno stregone, invece era una persona carina e spiritosa».
E quando era più grande?
«Da ragazza ho conosciuto tante persone meravigliose: Ettore Scola, Mario Monicelli, Furio Scarpelli… Erano molto più giovani di qualunque ragazzetto che potessi frequentare. Avevano una testa di una modernità che io non ho mai ritrovato in un coetaneo. Penso che la loro generazione avesse una marcia in più, forse perché aveva fatto la guerra».
Andava spesso sul set a seguire il lavoro di sua madre?
«Non molto, ma poi c’erano persone che gravitavano in casa. Così mi è capitato di cenare con De Niro o di aprire la porta a Sting… Ma è sempre stato molto naturale: in genere quando un artista è bravo o famoso si comporta in modo molto normale».
Di suo padre che ricordi ha?
«Quando ero bambina ho girato con lui per locali, night e balere. Quello che mi piaceva di più erano i musicisti, ne ho conosciuti tantissimi. Mio padre ha un rapporto stupendo con loro, io adoro la musica e mi piaceva stare in questo ambiente, mi sono divertita».
Dopo l’estate inizierà la tournée del Bagno , lo spettacolo dove sarà in scena con sua madre e Claudia Ferri, che inaugurerà la stagione del teatro Verdi di Firenze. È la storia di tre donne che organizzano una festa a sorpresa a un amico, dove si presenta all’improvviso anche la madre del festeggiato…
«È una commedia spagnola, scorretta e spiritosa, scritta da Astrid Veillon. È stato buffo perché in teatro le parti sono inverse, ci ho lavorato più di mia madre. Ovviamente lei ha più esperienza, ma durante le prove, ogni tanto mi chiedeva consigli. Mi sono molto divertita anche perché il regista, Gabriel Olivares, è uno spagnolo giovane e dinamico, con un metodo tutto suo. È quello che mi piace di questo lavoro, ogni volta sei vergine, ricominci sempre da capo. E mia mamma si mette sempre al servizio del regista. Quando faceva L’ultimo bacio con Muccino tornava a casa e diceva “non so se sono riuscita a fare bene quello che mi chiedeva Gabriele”. Mi colpiva moltissimo che un’attrice con la sua esperienza riuscisse a mettersi totalmente al servizio di un regista trentenne».
Con il Bagno farete anche una lunga tournée, è la prima volta con sua madre?
«Sì, ma credo davvero che la vivremo in separata sede. Abbiamo dei ritmi diversi: lei è più precisa e abitudinaria, a me invece piace far tardi la sera, dormire il pomeriggio… Avrò preso da mio padre, che a ottant’anni ha ancora voglia di viaggiare».
Sua mamma ha da poco compiuto settant’anni. Avete festeggiato insieme?
«Abbiamo fatto un bellissimo compleanno, con tanta gente, in un locale. C’eravamo tutti: io, mio fratello, e i nostri figli. L’ho vista molto felice, aveva un sorriso contento. C’è stato un momento molto bello: i ragazzi ballavano, io e mio fratello ci siamo guardati e ci sono venute le lacrime agli occhi. Sono tappe importanti della vita, per tutti».
Gherardo Vitali Rosati
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