9 maggio 2018. Corriere Fiorentino.
A cinque anni dalla scomparsa, Antonia Brancati racconta Anna Proclemer. Al Vieusseux, che conserva l’archivio dell’attrice, la proiezione del doc “La tigre di carta”.
«Non fare la Proclemer!», le diceva Giorgio Albertazzi, a lungo suo compagno nella vita e sul palco. Negli anni ‘60, quando lui firmava spesso anche la regia dei loro spettacoli, Anna Proclemer incarnava già uno stile di recitazione. «Poteva sembrare un’attrice di scuola, un po’ impalcata, ma in realtà era modernissima — dice la figlia, Antonia Brancati — Aveva una grande tecnica che le permetteva di risultare assolutamente naturale. Chissà se quello di Albertazzi non fosse un tentativo subliminale di minare la sua sicurezza».
Domani (ore 17.30) la Brancati sarà al Gabinetto Vieusseux per ricordare sua madre in occasione della proiezione del documentario La tigre di carta. Anna Proclemer fra successi e fragilità che viene presentato a Firenze a cinque anni dalla scomparsa della diva . Lo firma Franco Delli Guanti che ha raccolto le testimonianze di chi l’ha conosciuta, da Maurizio Scaparro a Ottavia Piccolo, passando per Ornella Vanoni e Gabriele Lavia. Non mancano riprese storiche, nonché le foto che ricordano la sua attività. Molto ha contribuito il Vieusseux, che conserva l’archivio completo della Proclemer: fotografie, lettere, premi, e anche degli specialissimi quadernetti con ritagli di giornale raccolti dalle sue ammiratrici.
«Il tramite per l’arrivo del suo archivio a Firenze fu Enzo Siciliano, all’epoca direttore del Vieusseux — spiega Gloria Manghetti, oggi alla guida del Gabinetto letterario — Fu molto attratta dal fatto che qui c’era già l’archivio di Eduardo De Filippo e il suo lascito aprì la strada anche a quello di Rossella Falk, che morì dieci giorni dopo di lei».
D’altronde il legame con Firenze fu sempre molto forte. «Albertazzi era fiorentino, quindi era naturale che mia madre amasse Firenze. Dopo l’Alluvione furono loro a riaprire la Pergola, con Come tu mi vuoi , di Pirandello, e nel 1989 ricevette la Chiave d’oro del primo camerino del teatro. Le tournée a Firenze erano sempre una festa». L’attrice aveva anche deciso di mandare la figlia a studiare al Poggio Imperiale, ma la scelta fu poco apprezzata dalla ragazzina, che dopo due anni andò a Milano, dai nonni: «Era un posto stupendo, ma il collegio proprio non faceva per me». Durante le vacanze, raggiungeva sempre la madre in tournée. «Quella vita mi divertiva molto: si faceva tardi la sera, si viaggiava sempre, ci stavo bene». Albertazzi? «Avrei voluto crearci un rapporto padre-figlia, ma questo per lui era impossibile. Il nostro è stato un rapporto buono, ma niente di che». Il suo vero padre, lo scrittore Vitaliano Brancati, era morto nel 1954, a soli 47 anni, quando lei ancora una bambina e il matrimonio era già naufragato. «Lui era innamoratissimo, lei un po’ scalpitava, voleva essere più libera». Ma quando Brancati stette male, «mia madre l’accompagnò all’ospedale a Torino, c’era tutta la famiglia, io invece ero in Sicilia con la nonna paterna. Doveva essere un’operazione da niente e invece è finita lì». Il legame fra i suoi genitori però continuò sulla scena, con La Governante , un testo scritto nel 1952 ma subito censurato perché parlava di omosessualità. Anna Proclemer lo presentò per la prima volta negli anni ‘60, e ne propose poi varie edizioni in teatro e in tv. E per ricordare lo scrittore, ha anche voluto scrivergli una lunga lettera postuma, pubblicandola sul suo sito web. «Non voleva scrivere un’autobiografia, che le era stata richiesta da varie case editrici, e si è divertita a raccogliere i suoi ricordi online. Il risultato dà un’immagine di lei molto simile alla realtà: poco precisa, con quel suo sottile senso dell’umorismo, la sua leggerezza e la sua serietà. Io non credo all’astrologia però mia madre era Gemelli ed era un po’ doppia in tutto, sempre affettuosa ma anche fredda». Con due genitori così, anche Antonia Brancati ha proseguito sulle loro tracce: oggi è un’autrice teatrale e dirige un’agenzia che gestisce diritti d’autore. Ma non è stato sempre facile: «Sono sopravvissuta, si può dire, quel che non strozza ingrassa!».
Fra i compagni di scena ci fu anche Vittorio Gassman. «Mia madre era innamorata di Gassman! Era un gigante del teatro e lei ha imparato tantissimo, quando ha iniziato a lavorare con Vittorio era molto giovane, brava, talentuosa, ma aveva ancora bisogno di una struttura, di un mestiere». Con Zeffirelli lavoro nell’Amleto , nel 1963. «Franco era di una bellezza da togliere il fiato, sembrava un angelo, e quando parlava di Shakespeare c’era da starlo a sentire per ore, io me ne ero quasi innamorata. Mia madre interpretava Gertrude, ed ebbe un’idea che a lui piacque moltissimo: nel quarto atto il suo personaggio invecchiava improvvisamente, così quando Ofelia diceva “dov’è la bellezza della regina di Danimarca?”, lei si girava e mostrava un volto bianco e pieno di rughe». Poco prima di morire, Anna Proclemer fu chiamata da Ozpetek per il film Magnifica presenza . «Si è sentita ancora importante, apprezzata, bella, ed ha vinto molti premi. E questo la faceva sorridere, perché al cinema aveva lavorato poco, tutta la sua vita l’aveva dedicata al teatro».
Gherardo Vitali Rosati
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